venerdì 24 febbraio 2017

Gare

E' passato più di un mese dall'ultimo post. Siamo passati dal freddo invernale ad un accenno di primavera, solo un accenno. Il patascione, termine che ho scoperto vi dirò poi come, lo misura non come lo misura il contadino. Non va a legare la vigna, non controlla le gemme sui meli e nemmeno vede l'erba diventare verde. Il patascione si accorge che qualcosa nell'aria è cambiato quando dopo i primi 800 metri di corsa capisce che si è vestito troppo, come se fosse inverno pieno. Il patascione soffre anche quando potrebbe farne a meno ma siccome di tornare a casa a levarsi qualche strato non se ne parla, il patascione continua imperterrito verso la meta.
Patascione: termine che indica l'improbabile runner non fisicamente dotato che corre a velocità che si avvicinano più al nordic walking che alla corsa vera e propria. Il termine l'ho imparato in questo mese di gare... si, avete letto bene, gare, e che gare. Ho iniziato a gennaio con la Winter Night Run.
Una corsa notturna sulla neve lungo la pista di fondo, in estate bellissima ciclabile, che collega Cortina a Dobbiaco. Quindi è notte e c'è la neve. Si parte dal lago di Landro da dove si vedono le Tre Cime di Lavaredo. Fa freddo ma nemmeno così tanto come dovrebbe, solo qualche grado sotto zero, lo scorso anno il termometro segnava meno diciotto. C'è odore di canfora sotto il tendone dove ci servono tè caldo in attesa dello start. Bel clima, divertente, non così agonistico ma insomma è sempre una gara per cui dopo il tè si va fuori a riscaldarsi ed a saggiare la neve. Correre sulla neve è un'eperienza nuova, completamente. So come ci si cammina, so come ci si scia ma correre non l'ho mai fatto. Finito il riscaldamento-prova ci mettiamo nel gruppo dietro lo start, i minuti corrono veloci, accendiamo la frontale e partiamo, il percorso è tutto in discesa e sono solo 10 km, bisogna spingere, dare il massimo e spingo, sorpasso gente, non è facile perché se si corre ai bordi del tracciato la neve è dura e si corre bene mentre se si corre al centro, tra le tracce della pista di fondo, dove hanno già corso tutti quelli che mi hanno preceduto si affonda quel tanto che basta per far aumentare a dismisura la fatica. I chilometri passano veloci, la notte diventa buia, il traguardo si avvicina. Arrivano le luci di Dobbiaco e dello stadio dove un ultima ripidissima e breve salita ci separa dal traguardo.
La gara è finita, divertente, veloce, sono proprio contento. Tagliato il traguardo una bella bevanda calda ed un krapfen alla marmellata. Peccato solo per l'attesa al gelo per ritirare la sacca con gli indumenti per cambiarsi. Un solo camion, un solo uomo a distribuire le sacche, è caos. Si rischia quasi il linciaggio e l'attesa, sudati ed al gelo, dura per oltre mezz'ora, comunque è fatta, sono con la bellissima compagnia degli amici di #Corrinsieme e questo è quello che conta.

La seconda gara invece è seria, terribilmente seria perché è la stessa di quando ho iniziato, la mia prima gara, la mezza maratona di Verona, la Giulietta e Romeo Half Marathon. La grande differenza è che la prima volta ero partito da casa da solo, avevo corso da solo, avevo tagliato il traguardo da solo, mi ero messo la medaglia ed autofesteggiato da solo; adesso c'è la fantastica compagnia del mio club, talmente nuovo che corriamo ancora con maglie provvisorie.
Il Run & Fun Oltre Team comunque c'è, siamo tanti e visibilissimi. La mezza di Verona è una gara tutta cittadina, fatta di marciapiedi, sampietrini, ciottolato vario, tombini, curve secche. La prendo come va presa, seriamente appunto. Spingo fin dal primo chilometro, ho solo un cedimento a tre chilometri dalla fine per un dolore alla caviglia destra ma il tempo finale è per me ottimo. 1h47'. 12 minuti in meno di quando l'avevo fatta la prima volta. Sono strafelice.





E' questa felicità che mi rende incosciente e mi fa prima iscrivere e poi affrontare l'ultima delle tre gare di questo periodo, una ultra trail. Cinquantuno chilometri con duemila metri di dislivello. Solo a pensarci mi sembra assurdo eppure parto, con calma. Parto con le mie scarpe da trail nuove, con lo zainetto ipertecnologico dal prezzo allucinante per quello che in effetti è e con i bastoncini alla moda. Nello zaino tutta una serie di integratori che non ho assolutamente idea di come usare. Parto piano, del resto la salita arriva subito ed io in salita non vado....cioè non andavo perché invece vedo che riesco anche a correre, quasi correre ma insomma vado anche in salita. Al diciottesimo chilometro improvviso arriva il dolore assurdo alla caviglia destra, sembra che mi si smonti, come se il piede si staccasse dal resto della gamba, come se non si sia più alcun collegamento. A questo segue immediatamente un dolore al tendine d'Achille della gamba sinistra. Penso di fermarmi e ritirarmi, non riesco nemmeno a camminare. Mi fermo in cima ad una collina proprio all'inizio di una bella e tranquilla discesa. Ragiono e ripenso agli articoli letti, al fatto che nel trail bisogna pensare ad arrivare, dosare le forze ed affrontare gli acciacchi. Va bene, affrontiamolo. Il dolore al tendine non è al tendine ma è al polpaccio, forse un inizio di crampi. Il dolore alla caviglia destra invece probabilmente è stato causato ad un appoggio sbagliato nell'ultima discesa. Prendo un integratore, un sorso d'acqua e provo a ripartire piano, cerco l'appoggio migliore per non sentire male. Lo trovo.

Riesco quasi subito a correre di nuovo, recupero tutta la fiducia e sono di nuovo in gara...da solo perché penso di essere tra gli ultimi per cui siamo a tratti così sgranati che la corsa diventa solitaria ma anche così è bella tra colline e boschi. Supero la distanza della mezza maratona. Mi si stampa in faccia un sorriso idiota, sono solo a metà gara ma mi sembra già di avercela fatta. Ad un certo punto incontro una curva secca a sinistra e su di un sasso, in rosso, leggo la scritta "202 gradini"...duecentoduegradini. Arrivo in cima a quella gradinata fatta di traversine ferroviarie, con gradini alti il doppio di una normale scalinata e continuo. Ormai è fatta. Passo la distanza della maratona. Inizia la lunga discesa che porta al traguardo. Lo taglio dopo sette ore e quarantaquattro minuti. Ce l'ho fatta, non può più fermarmi nulla.

In tutto questo, in questo mese, c'è stata poi la gara più difficile, quella con Ezio a chi fa più chilometri e lì ho sempre tragicamente perso, per poco ma ho perso perché quel ragazzo ha una costanza che fa paura. Ah ma io non mi arrendo :-)






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