martedì 6 dicembre 2016

La salita

E' la prima volta che mi confronto seriamente con la salita. Ho tracciato un bel percorso su per una stradina sterrata bellissima. 17 chilometri e 600 m di dislivello. Penso subito che è troppo ma ormai il percorso è tracciato e trasferito sul Garmin.
La giornata è bellissima. Cielo azzurro, nemmeno una nuvola, aria fresca. Parto verso ora di pranzo ed arrivo in macchina a Modolo. Parto con le mie scarpe nuove da trail. Mi sembrano dure, somigliano a dei scarpini da bicicletta ma fasciano bene il piede ed inizio subito a correre sulla pianta, lasciando perdere il tallone. Dicono che bisogna correre così, lo dice in particolare l'autore del libro che sto leggendo, "Running Revolution" di Nicholas Romanov, ve ne parlerò in seguito. Intanto da quando lo sto leggendo mi sto concentrando sulla tecnica. Si perché la corsa alla fine è come lo sci. Sappiamo tutti correre, lo facciamo da sempre, non come lo sci ma come questo c'è una tecnica ben precisa per farlo bene e questa va imparata. Serve applicarcisi, seriamente e non è per nulla facile, anzi. Concentrarsi sulla posizione del corpo, leggermente in avanti, sulla posizione della gamba mai lanciata in avanti e sull'appoggio del piede che deve avvenire sulla verticale del bacino, con passi brevi, veloci, non è facile. Bisogna imparare di nuovo a muoversi e bisogna saper anche ascoltare i rumori che uno produce. L'appoggio del piede produce un rumore diverso a seconda di come avviene. Se uno "atterra" con il tallone, poi "sbatte" la suola al suolo producendo uno "splat" forte; se uno invece poggia la pianta, l'avampiede, tutto diventa più silenzioso e morbido. Quel morbido preserva anche da infortuni. Insomma c'è una tecnica e siccome la sto imparando approfitto dei primi due chilometri in pianura per ascoltarmi e correggere gli errori. La salita inizia presto e con la salita, ancora su asfalto, iniziano anche i pensieri cattivi. Si materializza il BLERCH. Chi è il Blerch? Secondo Matthew Inman, che ne parla nel suo divertentissimo libro "Come capire se la corsa ti sta fulminando il cervello" il Blerch è "una misera e pigra bestiolina", graficamente è orribile. Una specie di palla di grasso che si materializza nei momenti difficili e cerca di convincervi che qualsiasi cosa è meglio di ciò che state facendo. Il divano, il bar con la sua bella cioccolata calda con panna, la televisione, i biscotti e la Nutella che non toccate più da quando avete iniziato a correre, secondo il Blerch non ha alcun senso quello che state facendo mentre sarebbe molto ma molto meglio lasciar subito perdere e regalarsi qualche gioia tra quelle appena elencate.


Bene, dopo il secondo chilometro, alla prima salita ecco il Blerch che mi suggerisce le solite vie di fuga, le medesime scuse di sempre o al massimo un compromesso, qualcosa del tipo "arriviamo fino lì e poi torniamo indietro, cinque chilometri dignitosi, accontentati". Ed invece non mi accontento, passo il primo paese, prendo fiato dove la strada spiana leggermente e questa volta mi trovo di fronte a quella che so essere la vera salita, quella lunga e sterrata. Il Blerch per ora è sparito. Intorno a me il bosco, traffico inesistente, l'unico rumore oltre quello del mio fiatone e dei miei passi, una motosega di una malga a bordo strada dove stanno tagliando legna. Continuo, la salita è costante, non molla un attimo, anche i tornanti dove mi aspetto almeno una brevissima pausa sono anche loro in salita.
Arrivo alla chiesetta, bella. Mi fermo un attimo per una foto e nella foto entra anche il Blerch, si legge nella mia espressione. Ovviamente mi suggerisce di accontentarmi della meta raggiunta ma non è convinto ed infatti non appena riprendo a correre svanisce con un'espressione molto delusa. Continuo in salita, sbuffando come una locomotiva, come la Fiat 132 di mio padre, a gas, nella salita che mi portava a Viterbo da militare. Dopo la chiesetta la strada si biforca, prendo a destra e salgo ancora. La pendenza aumenta ed allora decido di camminare e correre. Non cammino così a lungo da farmi passare la voglia di correre e non corro per così tanto da uscirne disfatto. Alterno i due passi e funziona, caspita se funziona.  Funziona talmente bene che senza accorgermene arrivo alla fine della salita. Sono al settimo chilometro, a metà strada, il più è fatto, il passo diventa veloce, la cadenza aumenta e la corsa si fa leggera, bella, divertente. Mi fermo un attimo per guardarmi intorno. Boschi nei quali si insinuano lame di luce che illuminano prati bellissimi. Nello spazio tra gli alberi si intravede il gruppo dello Schiara a nord e le montagne dell'Alpago ad est. E' bellissimo. Faccio qualche foto e riparto. Arrivo sulla statale e qui inizia la discesa, purtroppo tutta su strada, Non mi piace, non riesco a correre in discesa come vorrei, appoggio il tacco, sento l'impatto ad ogni passo, pur concentrandomi sull'appoggio c'è poco da fare per cui continuo guardandomi intorno non avendo il problema del poco fiato. Arrivo a Quantin e siamo al nono chilometro. Cerco la stradina sulla sinistra e ricomincio finalmente a correre su sterrato. Una leggera salita ma so che è corta ed ormai la tecnica provata nella salita precedente è collaudata. La faccio contento di farla bene, felice. Mi immergo di nuovo nel bosco. Ogni scorcio sarebbe da fotografare. Correre in discesa su sterrato è meno faticoso che non sull'asfalto e continuo quindi fino ad arrivare al bivio del terzo chilometro. Siamo invece al 14° km, me ne mancano solo tre che faccio con il sorriso per il bel percorso, per i paesaggi, ma soprattutto perché mi sono dato un obiettivo, ieri sera sul divano, ed oggi l'ho realizzato.



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